Quando fu il giorno della Calabria
Quando fu il giorno della Calabria
Quando fu il giorno della Calabria, Dio si trovò in pugno 15 mila kmq di argilla verde con riflessi viola. Pensò che con quella creta si potesse modellare un paese per due milioni di abitanti al massimo. Era teso in un vigore creativo, il Signore, e promise a se stesso di fare un capolavoro. Si mise all’opera, e la Calabria uscì dalle sue mani più bella della California e delle Hawaii, più bella della Costa Azzurra e degli arcipelaghi giapponesi. Diede alla Sila il pino, all’Aspromonte l’ulivo, a Reggio il bergamotto, allo stretto il pescespada, a Scilla le sirene, a Bagnara i pergolati, a Palmi il fico, alla Pietrosa la rondine marina, a Gioia l’olio, a Cirò il vino, a Nicotera il fico d’India e a Pizzo il tonno. Diede al Crati l’acqua lunga, allo scoglio il lichene, alle montagne il canto del pastore, alle spiagge la solitudine e all’onda il riflesso del sole. Assegnò Pitagora , Alcmeone e Filolao a Crotone, Gioacchino da Fiore a Celico, San Francesco a Paola, Telesio a Cosenza, Campanella a Stilo, Mattia Preti a Taverna, Manfroce e Cilea a Palmi, Alvaro a San Luca e Calogero a Melicuccà. Poi distribuì i mesi e le stagioni alla Calabria. Per l’inverno concesse il sole, per la primavera il sole, per l’estate il sole, per l’autunno il sole. A gennaio diede la castagna, a febbraio la pignolata, a marzo la ricotta, ad aprile la focaccia, a maggio il pescespada, a giugno la ciliegia, a luglio il fico melanzano, ad agosto lo zibibbo, a settembre il ficod’india, a ottobre la mostarda, a novembre la noce, a dicembre l’arancia. Volle che le madri fossero tenere e le mogli coraggiose, gli uomini autorevoli e i vecchi rispettati; i mendicanti protetti, gli infelici aiutati, le persone fiere leali socievoli e ospitali. Volle il mare sempre viola, la rosa sbocciante a dicembre, il cielo terso, le campagne fertili, l’acqua abbondante, il clima mite, il profumo delle erbe inebriante.
Operate tutte queste cose nel presente e nel futuro il Signore fu preso da una dolce sonnolenza in cui entrava la compiacenza del Creatore verso il capolavoro raggiunto. Del breve sonno divino approfittò il diavolo per assegnare alla Calabria le calamità : le dominazioni, il terremoto, la malaria , il latifondo, il feudalesimo, la malaria, il latifondo, le alluvioni, la peronospora, la siccità l’analfabetismo, il punto d’onore, la gelosia, l’Onorata società, la vendetta, l’omertà, la falsa testimonianza, la miseria, l’emigrazione. Dopo le calamità, le necessità: la casa, la scuola; la strada, l’acqua, la luce, l’ospedale, il cimitero. Ad essa aggiunse il bisogno della giustizia, il bisogno della libertà, il bisogno della grandezza, il bisogno del nuovo, il bisogno del meglio. E, a questo punto, il diavolo si ritenne soddisfatto del suo lavoro, toccò a lui prender sonno, mentre si svegliava il Signore. Quando aperti gli occhi, poté abbracciare in tutta la sua vastità la rovina recata alla creatura prediletta, Dio scaraventò con un gesto di collera il Maligno nei profondi abissi del cielo. Poi, lentamente, rasserenandosi disse: “Questi mali e questi bisogni sono ormai scatenati e devono seguire la loro parabola. Ma essi non impediranno alla Calabria di essere come io l’ho voluta. La sua felicità sarà raggiunta con più dolore ecco tutto. “Utta a fa jornu c’a notti è fatta”. Si sbrighi a far giorno che la notte è passata. Una notte che contiene già l’albore del giorno.