Sulle orme di Maria Cristina di Francia, tra nobili dimore e storici vigneti – I parte
Eugenio Buffa di Perrero*, guida turistica e cultore di storia del Piemonte, ci accompagna in un viaggio a ritroso nel tempo, spaziando tra nobili dimore e produzione vinicola di pregio, sulle orme di quella Maria Cristina di Francia, meglio nota come prima Madama Reale, che contribuì nel Seicento a trasformare la piccola Torino, ancora stretta nelle mura medioevali, nella grande capitale barocca del Ducato di Savoia
La Provincia di Torino o, secondo la nuova definizione, la “città metropolitana di Torino”, ha una varietà vitivinicola preziosissima e antica. E’ proprio nei territori circostanti il capoluogo piemontese, infatti, che si trovano, ancora oggi, alcuni centri che permisero la sopravvivenza della viticoltura quando si dissolse l’Impero Romano e, con questo, la dedizione che gli Antichi avevano per il vino.
Nella zona della “Collina Torinese” furono i monaci agostiniani dell’Abbazia di Vezzolano a custodire i segreti della viticoltura, fondamentale per la celebrazione dell’Eucarestia.
La fama dei vini torinesi fu tale da essere celebrata nel 1606 in un piccolo ma interessante trattato intitolato: Dell’eccellenza e della diversità dei vini che nella Montagna di Torino si fanno e del modo di farli. L’autore, Giovanni Battista Croce, orafo e agronomo di Casa Savoia, lodava la varietà dei vitigni collinari.
Da quel momento, tutti i cortigiani, cominciarono a desiderare queste uve così preziose ed, in poco tempo, le residenze nobiliari furono incorniciate da appezzamenti coltivati a vite. Queste proprietà erano nominate vinee ultra padum, cioè vigne oltre il Po e, nei secoli successivi, avrebbero marcato il territorio della collina sino ai giorni nostri.
La più nota di tutte le dimore fu senza dubbio la Vigna di Madama Reale, luogo di delizie di Maria Cristina di Francia, la figlia di Enrico IV di Borbone che, dopo esser rimasta vedova di Vittorio Amedeo I di Savoia, governò il ducato sabaudo, in una susseguirsi di battaglie, feste meravigliose e amori clandestini.
Quando Maria Cristina giunse alla corte sabauda fu accolta con grande gioia: ogni tappa del suo viaggio da Parigi a Torino fu costellata da festeggiamenti. In onore di questo matrimonio, il Louvre fu rallegrato da splendidi conviti, balli e cacce.
Carlo Emanuele I di Savoia, il suocero, preparò per l’avvenente nuora il più straordinario ricevimento, seguendo ogni dettaglio personalmente. Al Moncenisio, tra baite di poveri pastori, la giovane francese fu accolta in un palazzo fatto sorgere dal Duca in pochi giorni “quasi d’incanto”: l’architetto Carlo di Castellamonte aveva creato una reggia, effimera come un sogno, dove i gigli d’oro di Francia si intrecciavano alle armi ducali. E l’arrivo della fanciulla nella capitale fu un evento così memorabile, da essere celebrato dai più grandi intellettuali dell’epoca.
Ma, solamente pochi anni più tardi, Maria Cristina affrontò la morte del marito, di cui fu persino accusata, e poi quella del primogenito, il piccolo Francesco Giacinto, che si spense nel castello del Valentino. Tra il 1639 ed il 1642 il ducato fu sconvolto da una conflitto sanguinoso, dove i fratelli di Vittorio Amedeo, filospagnoli, tramavano contro di lei per impossessarsi del trono, occupato forse senza più alcun diritto.
Eppure, accanto alle morti e alle tragedie che colpivano entrambe le fazioni, sia Maria Cristina, che i suoi avversari, riuscivano a trovare le risorse per creare spettacoli teatrali eccezionali, costruire palazzi e chiese che trasudavano oro e dedicarsi al “potere taumaturgico della Bellezza“.
In mezzo alla miseria, si creò un mondo così stupefacente che, forse, non poteva neanche essere immaginato dalla maggioranza dei sudditi. – continua –
Testo di Eugenio Buffa di Perrero